Milano, 3 Maggio 2018
Linee ferroviarie ad alta velocità, così arrivi prima a destinazione e non perdi il tuo tempo a guardare fuori dal finestrino del treno, che tanto a vederlo scorrere così spedito il paesaggio là fuori sembra soltanto il dipinto di un pittore futurista amatoriale (e comunque, a guardarci bene, anche quell’opera avrebbe un suo perché, ma per apprezzarla ci vorrebbe un po’ di attenzione in più).
Super-mega-ultra fibra, perché è assolutamente indispensabile che Internet sia sempre più veloce, mica hai tempo da sprecare così, aspettando che la pagina si carichi… (che cosa stai cercando con tutta sta urgenza, poi, non si è capito).
Pranzo fast, ovvero tra una call e un meeting ingurgiti al volo un panino insipido, fatto senza nemmeno un briciolo d’amore, perché poi devi proprio scappare (ma dove, e chiediamocelo seriamente… che fretta c’è?)
Imbarazzanti compendi letterari dei capolavori della narrativa, che si propongono di riassumere in una cinquantina di pagine la trama delle storie indimenticabili raccontate dai più celebri romanzieri, sacrificando sull’altare della velocità la passione, il pathos emotivo, la sublime complessità dell’intreccio e quindi, alla fine dei conti, il senso (praticamente ti leggi il bigino di Guerra e Pace in un’oretta e ti puoi pure spendere una cultura letteraria di tutto rispetto con la prossima tipa che incontri. Eccellente speaking opportunity, un vero colpaccio. Argh.)
Un bacio fugace, rubato fra le rotte di destini che si incrociano a ore, intenso ma stiticamente rapido perché poi devi proprio andar via (che cosa avrai poi di tanto importante da fare da non potere proprio proprio rimandare…).
Messaggi whatsapp a raffica come se piovessero dal cielo, per lo più brevi, sintetici, a volte sgrammaticati e spesso incomprensibili (il T9, se vuole, è un bastardo), perché per una telefonata intera, comprensiva di ascolto, empatia e condivisione anche dei sorrisi, ci vuole del tempo, e tu devi correre, devi correre sempre più veloce, perché sei già in ritardo e ti aspettano in riunione (che cavolo vi direte, poi, in tutte queste riunioni…)
E così, alla fine è successo che abbiamo dimenticato la meraviglia della lentezza, trasformando le nostre giornate in un susseguirsi di sveltine digitali, letterarie, gastronomiche, ma soprattutto affettive.
Non c’è più spazio per le emozioni quando il fatturato chiama.
Via libera solo ai movimenti rapidi, sguarniti di quel calore che rallenterebbe la salita.
Via libera alle convulsioni nervose capaci di tracciare sulla mappa solo segni e linee tratteggiate, spogliate dello stupore per i dettagli, prive di tenerezza, abili solamente a disegnare una vita fatta di sfocature.
Eppure, anche il sole quando sorge lo fa piano, il giorno si affaccia al mondo con lentezza, quasi come non fosse proprio sicuro che ne valga davvero la pena. Il risveglio, dei sensi e dei pensieri, ha bisogno di essere abbigliato di coccole ad andamento lento, quei momenti di esitazione richiedono carezze, impegno e cura, perché per comprendere, per sentire e per decidere ci vuole morbidezza e concentrazione (ma, prima di tutto, un caffè ristretto).
E allora io lo rivendico il mio diritto alla lentezza, alla calma placida che mi serve per colorare i miei sogni. Rivendico il mio diritto a vivere ogni istante come merita di essere vissuto, anche quando non c’è tempo, anche quando dietro l’angolo c’è una deadline da rispettare.
Io voglio avere fra le mani, e negli occhi, e soprattutto nel cuore, ogni minuto del tempo di cui ho bisogno per riflettere, capire, spiegare e spiegarmi, per farmi tutte le domande che mi permettono di fare un passo in più, in avanti, e cercare le risposte, per godere della luce di un tramonto, farmi travolgere dalla bellezza di ogni sfumatura, perdermi in un abbraccio stretto senza tempo. E per sorridere.
La lentezza è attenzione, è dedizione, è memoria. E io le cose che mi piacciono me le voglio vivere, godere e ricordare bene tutte. Punto.
“C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo”.
(Milan Kundera)