ciclo e riciclo

Milano, 20 Gennaio 2015

pedalare senza fretta, la domenica mattina...

“…pedalare senza fretta, la domenica mattina…”


Mi sa che mi prenderò una bicicletta.

Ne avevo una, gialla, bellina. Metteva allegria a pedalarci su.
E poi me l’hanno rubata, nel cortile di casa mia.
Un giorno mi sono affacciata alla finestra e al suo posto ne ho vista un’altra, sempre gialla, ma da bambino.
Per qualche istante ho pensato che si fosse semplicemente ristretta, in virtù di un lavaggio poco consono alle sue giunture, ma poi ho capito che non era la mia.
Puff! Volatilizzata.


Ci ho pensato spesso, poi, a lei. Mi sono chiesta molte volte dove stesse scorazzando, libera e leggera come solo lei sapeva essere.

Non l’ho mai voluta sostituire.
Confesso che faccio sempre un po’ di fatica a fare “switch”, ma ho capito che questo potrebbe essere un buon momento.
Ne vorrei una rossa, concedendo una deroga speciale alla mia vita in blu, perché la bici rossa ha un fascino letterario che richiama alla mia mente immagini costruite ad arte secondo una regola aurea di proporzioni armoniose, che posizionano il rosso fuoco al centro della scena.
Vedremo, vado a guardarmi in giro.

Il fatto è che recentemente la mia macchina mi ha mollata, e ho bisogno di un nuovo mezzo di trasporto. Forse l’auto è più adatta alle mie esigenze pratiche, ma la bicicletta mi piace di più.
Andrà a finire che mi regalerò l’una e l’altra.

A dire il vero sulla macchina ci sto ancora pensando su.
Aggiustare o rottamare? Interessante metafora che rievoca a tratti decisi i fatti della vita.

Eh sì, perché, volendo, potrei anche investirci su, e rimettere a posto i cocci. Potremmo fare ancora un po’ di strada insieme. Lei, in fin dei conti, è sempre stata gentile con me. Mi ha portata in giro per anni, attraverso strade di campagna e di città, nelle giornate di sole e in quelle in cui la pioggia appannava i miei pensieri (e forse anche i suoi), e durante le mie scorribande notturne, inseguendo l’allegria.
Le sono anche piuttosto grata, se solo penso a quante volte, nelle sere in cui avevo bevuto un bicchiere di troppo, come per magia mi ha trovato parcheggio sotto casa, senza farmi girare a vuoto come una trottola.

Quello che provo è una certa nostalgia per alcuni momenti trascorsi insieme, affetto a fette (questa mi è venuta così, chiedo venia, ma le allitterazioni mi ritmano in testa allegria), gratitudine per la sua incondizionata fedeltà, il tutto condito ovviamente dai sorrisi. Mica ingredienti da poco, eh? Eppure, temo sia arrivato il momento di dirci addio.

Non sono pronta all’addio, credo che non lo sarò mai. L’arte di porre fine a una cosa non si impara certo a scuola, e a volte non si impara mai.

Però il paradosso dell’addio sta nel fatto che a volte i momenti migliori e peggiori della nostra vita possono coincidere. E allora il tempo del riciclo si compie (e magari arriva quello del ciclo, preferibilmente rosso, come dicevo sopra), e bisogna non solo voltare pagina, ma mandare il libro al macero, o far roteare le sue pagine in aria, sulla scia di un vento che ne disperderà ogni traccia.

Ed è in questo momento che la rinascita diventa il nuovo valore, quello che va a sostituire quello della continuità e della fedeltà a sé e agli altri. Persone auto o biciclette che siano.

Ci sono infiniti modi per dirsi addio e, a volte, il peggiore è restare.

Scusami, ho usato la nostra canzone per una nuova relazione”.
(Stefano Benni)

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