Milano, 12 Luglio 2016
Avete presente quando si sta seduti su una sedia e ci si sporge all’indietro fino a rimanere in equilibrio su due gambe, e poi si inizia a dondolare, ancora un po’ indietro, poi un po’ di più fino quasi a cadere, ma all’ultimo momento ci si riprende e si ritorna alla posizione iniziale, stabile e immobile?
Ecco, io spesso mi sento proprio così. In una situazione di equilibrio precario, quello che ricerca il senso sopra la follia, fra i brividi di una vita che inesorabilmente vola via, come direbbe il Blasco.
Alla fine, però, per fortuna riesco sempre a ritrovare quella rassicurante condizione di temporanea eternità che mi consente di fare un passo avanti, dopo aver perso per qualche istante l’equilibrio.
Ci ho pensato molto all’equilibrio negli ultimi giorni. Al mio in primis, perché è sempre da sé che bisogna partire. Ma anche, da spettatrice attenta ma pur sempre straniera, a quello delle persone che incrociano la mia vita, che hanno colorato il mio passato, che condividono tratti del mio presente. Al futuro ci penserò meglio in futuro, per ora sto solo tentando di tratteggiare lembi di nuvole per metterci dentro i miei sogni più limpidi.
Mi sono chiesta a che punto della mia strada sono arrivata, e quanta ancora ne ho da fare. Me lo chiedo sempre, a dire il vero, ogni giorno, mentre impugno con delicatezza una matita immaginaria per disegnare la mia rotta a tratti morbidi e appena accennati. Consapevole che al primo giro di vento il mio programma di viaggio potrebbe sgretolarsi in infiniti pezzi minuscoli, da ricomporre lungo un altro binario, sotto un altro cielo.
Ho passato alcuni giorni in mare, in mezzo all’azzurro che da sempre mi appartiene, e lì ho respirato sorsi di un’aria familiare e al tempo stesso estranea, mentre i miei piedi nudi accarezzavano un legno sconosciuto e il mio sguardo apparentemente fisso sull’orizzonte raccontava in silenzio le mie battaglie, tentando di abbellirle con nuove pennellate di gioia, rivincita e salsedine.
Al momento dello sbarco sulla terraferma ho continuato a provare una sensazione di continuo rollio del mondo esterno, che ha compromesso inevitabilmente l’equilibrio dei miei pensieri più stanziali, facendo vibrare in un irragionevole beccheggio dell’anima sensazioni e ricordi, malinconie e capricci.
Ho sempre sofferto un po’ il mal di terra, esperienza più che normale, che accade quasi a chiunque scenda da una barca che l’ha cullato per giorni, in attesa che il sistema vestibolare e quello visivo ri-sintonizzino le informazioni esterne per ridisegnare l’armonia. Ma stavolta quel piacevole malessere mi si è infilato sotto la pelle dorata dal sole delle Baleari sotto forma di un’inquietudine ad alte dosi, fattore di protezione Zero.
Questo fluttuare ubriaca fra sensazioni contraddittorie mi ha fatto capire quanto a volte sia necessario sperimentare il nuovo per amare di più anche qualche frammento del vecchio, quanto a volte (ahimè) si riveli utile aver provato dolore, fisico o emotivo che sia, per imparare ad assaporare con maggiore cognizione la sapidità dei momenti vivi e sereni, o aver pianto una sconfitta per poi riuscire a festeggiare con una gioia più vera la vittoria, alla ricerca di quell’equilibrio che nasce da un groviglio apparentemente insensato di emozioni, idee e sogni che alla fine ci fanno innamorare delle persone o delle cose che ce lo spostano.
I miei giorni si sono infittiti di riflessioni agrodolci, ma più ancora amare, sulla distanza che a volte si crea fra i cuori e le menti, sull’incomunicabilità che spegne le luci negli occhi, sulla comunione di sogni minata alla base da deliri di liberazione egocentrici e codardi, sulla pericolosità di abili burattinai capaci di aprire le porte del vuoto con una leggerezza che non conosce il rispetto e non riconosce la fatica.
Sensazioni forti, lame affilate che mi hanno riaperto labirinti tortuosi nella carne, fra le cicatrici che disegnano la mia storia. Il mio equilibrio ha vacillato un po’ più del solito, come disturbato da un’improvvisa scossa tellurica, l’armonia cromatica che inseguo con impegno e costanza ha perso consistenza per qualche istante, preda innocente di un potente reflusso sensoriale.
Ma ho reagito, negli ultimi anni ho imparato benissimo a farlo, ho estratto dal cassetto il mio sorriso più dolce mentre affilavo le unghie laccate di fuoco, e ho continuato ad andare avanti. Un piede dopo l’altro sulla passerella della vita, sospesa fra le stagioni sopra il colore del mare.
“La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti”.
(Albert Einstein)