Lampi di temporanea eternità

Milano, 13 Maggio 2015

Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza… (the crocodile and me)

Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza… (the crocodile and me)

Qualche giorno fa, mentre passeggiavo fra la folla variegata che si aggirava lungo il cardo e il decumano che disegnano l’area di Expo, sono inciampata in una serie di riflessioni sulla precarietà. Delle scelte, delle opportunità, delle occasioni, delle relazioni. Della vita, in generale.

Quelle strutture architettonicamente allegre, costruite ad arte per evocare paesaggi più o meno esotici nelle anime di visitatori con occhi spalancati di meraviglia, fra sei mesi si dissolveranno in tanti piccoli lego, che saranno in seguito riassemblati altrove, forse, all’interno di scenari che regaleranno loro una nuova vita. O forse no.
Altre di quelle affascinanti costruzioni, generate dalle menti scaltre e dalle matite veloci dei potenti impegnati nei nuovi giochi del capitalismo, probabilmente si sgretoleranno insieme ai lievi messaggi (e massaggi) partoriti con l’ambizioso intento di “nutrire il pianeta”.

E tutte quelle piantine fiorite che colorano di primavera le collinette morbide che ammiccano ai visitatori in coda ai gate d’entrata… che fine faranno? Ho avvertito nel mio cuore un soffio di malinconia immaginandole abbandonate, con le foglie secche e il sorriso spento, all’inizio del prossimo autunno (stagione che io, paradossalmente e per motivi del tutto personali, quest’anno attendo con una certa urgenza come un momento di rinascita).
Ora mi è più chiaro il motivo per cui io non ho piante in casa. La mia saltuariamente fragile sensibilità non reggerebbe al colpo di vederle appassire, e non avendo certo il pollice verde temo che sarebbe inevitabile.

E così, osservando con curiosità gli instabili equilibri vitali che gravitano intorno a Expo, ho riflettuto una volta ancora sulla precarietà della vita, fin troppo lunga per quello che a volte siamo costretti ad affrontare, ma allo stesso tempo brevissima, troppo davvero, per quello che invece potremmo sperimentare ancora, un po’ più in là, al di là di quell’arcobaleno che sembra irraggiungibile.
A pensarci bene, credo che più che allungarla, la vita, bisognerebbe studiare e lavorarci su con impegno per cercare di allargarla, riempiendola di un senso che non sempre è così chiaro.
Qualche volta, addirittura, la consapevolezza di questa transitorietà che pure ci fa tanto patire, potrebbe anche stimolare i nostri sensi all’erta e la nostra creatività, portandoci a porci domande capaci di aguzzare il nostro ingegno e di nutrire la nostra passione alla ricerca di risposte in grado di renderci almeno un pochino più felici.

Vivete come se doveste vivere per sempre, mai vi viene in mente la vostra caducità, non prestate attenzione a quanto tempo è già trascorso. Lo disperdete come provenisse da una fonte rigogliosa e inesauribile” scriveva Seneca nel suo “De brevitate vitae”.
A volte mi rendo conto di avere spesso vissuto proprio così, rimandando a un domani che poi ho capito essere non così certo pensieri e domande che era urgente fare uscire immediatamente da un cassetto chiuso a chiave dalla paura.

In una delle canzoni più “paracule” della storia della musica italiana (Sally), Vasco urla “perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia”. Quella strofa mi ha un po’ fregata, lo confesso, eppure è così vera.
La vita a volte sa essere un fulmine che squarcia un cielo sereno, una favola ma anche un grande bluff, un alito di vento che spazza via la solitudine, una goccia di pioggia che disegna cerchi incomprensibili nell’acqua, un sogno a colori e anche la sua stessa ombra.

Ho capito che, mentre viviamo da aspiranti immortali le mille forme provvisorie di questa temporanea eternità, dovremmo almeno provare a sorridere.


Quelle pianticelle, in fin dei conti, lo faranno per tutto il tempo che sarà loro concesso.

Amen.

Siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita” (William Shakespeare, La tempesta).

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