Milano, 22 luglio 2015
E così, alla fine… siamo soli. Tutto il tempo. Viviamo soli.
Gli altri ci stanno intorno, è vero, ma siamo soli, ognuno imprigionato fra le catene della sua mente che disegna mappe disabitate da scoprire.
Siamo soli, quando apriamo gli occhi per guardare un cielo che ci abbaglia, e mentre ascoltiamo il vento e sentiamo di non poterlo raccontare a nessuno.
Eppure, in qualche modo, siamo quello che siamo grazie agli altri, che abitano le nostre vite, le colorano di compagnia, e parole, nozioni, a volte perfino di un granello di folle leggerezza.
In qualche raro caso qualcuno di questi “altri” riesce addirittura a penetrare il mistero che ci avvolge l’anima, a dissolvere qualcuna delle nostre ombre e a cibarsi delle nostre luci rendendole al tempo stesso ancora più vive, in uno scambio di energia che sembra quasi amore. E anche noi riusciamo a cogliere il suo segreto, e ci abbandoniamo a un incontro che, lì per lì, ci appare come un vero capolavoro.
Ma poi, quasi sempre, inevitabilmente le ultime pagine della storia scorrono sotto le nostre dita che sfogliano la vita voraci, e ci accorgiamo che abbiamo smesso di stupirci, di raccontarci senza filtri e senza freni, e abbiamo iniziato a proteggerci da soli. Dagli altri, dalla vita, e da noi stessi.
E’ in quel momento che ci ritroviamo, spesso con rammarico e con un senso di quasi violenta inquietudine, a contare le carezze che non abbiamo ricevuto, e i baci che non abbiamo dato.
E ci accorgiamo di quanto, davvero, ma davvero, ci è mancato quel contatto così semplice, che non richiedeva alcuna fatica inaffrontabile, un piccolo regalo fatto di calore, e di sguardi che non avevano bisogno di parole.
Capiamo che non abbiamo avuto il coraggio di fare un passo al di fuori del tracciato della nostra rotta, e abbiamo preferito fermarci un istante prima, negando e negandoci un gesto che poteva fare la differenza. O forse no, chi lo sa.
E’ successo che la paura ha inchiodato i nostri piedi, e i nostri sogni, in un terreno arido, dove il calore non è mai stato di casa.
È passato tanto tempo ormai, e se guardiamo indietro ci ritroviamo a fantasticare su come sarebbe stata la nostra vita se le avessimo date, o accolte, quelle carezze.
Chissà se oggi agiremmo diversamente, oppure no. In quel momento ci sembrava la cosa più giusta da fare, anche se poi, a dire il vero, mica l’abbiamo mai capito cosa vuol dire giusto o sbagliato.
“Buoni o cattivi, non è la fine… prima c’è il giusto o sbagliato da sopportare” così canta Vasco, che suggerisce anche di spegnere ogni tanto il cervello. Eh già… Sarebbe meglio, tante volte.
E invece, nonostante tutti i nostri buoni propositi di leggerezza, alla fine ci ritroviamo ancora a contare i baci, e le carezze, tutte quelle che abbiamo perso per strada e non abbiamo mai più ritrovato sui nostri passi. E anche quelle che invece abbiamo colto come fiori ai lati del sentiero, anche se non ne avevamo tanta voglia, perché ci sembravano più sbiaditi degli altri, e senza profumo.
E poi, però, succede che smettiamo di contare, e proviamo a indossare un sorriso più aperto, di quelli che nascondono fra le pieghe proprio quel calore e quelle carezze che, a cercarle bene, sono ancora lì. Sarebbe un peccato perderle ancora, perché sono belle, le nostre carezze.
“Voglio parlarvi della carezza. Questo gesto in estinzione, rivoluzionario, incompreso persino dal vocabolario. Carezza: Tenera dimostrazione di amorevolezza e di benevolenza un po’ leziosa che si fa lisciando con il palmo della mano. (…) Riscopriamo il significato di “carezza”. Tocco della vita. (…) La carezza è un ponte fra due abissi di solitudine. Perciò il cielo e la terra passeranno, ma certe carezze non passeranno mai” (Jack Folla)