Silence, please…

Milano, 18 novembre 2014

Zibaldone. Silence, please. Tecnica mista su tela,  120x80

Zibaldone. Silence, please. Tecnica mista su tela, 120×80


Parole, parole, parole… Si vive troppo di parole, armi improprie che spesso fanno calare un banco di nebbia sul tracciato della nostra rotta, impedendoci di guardare avanti con l’onestà che ci meritiamo.

A volte bisogna abbassare il volume, o avere il coraggio di premere il tasto “off”.

Bisogna provare a vincere la battaglia contro il bisogno di spiegarsi, di giustificarsi. Smetterla di cercare di autoconvincerci (e convincere chi ci sta intorno) che le cose vanno proprio come ce le siamo immaginate, disconoscendo maldestramente il confine tra realtà e speranza, tra quello che c’è e quello che vorremmo. Bisogna iniziare con serietà un percorso di disintossicazione dai veleni a cui ci siamo affezionati.

Bisogna rimediare a quel trasloco d’identità che abbiamo compiuto, con troppa fiducia e leggerezza, stregati da parole ammalianti, e metterci subito in cammino per riportare a casa la nostra vita e dare un nuovo senso alle nostre domande. Senza farci distrarre da quel concerto di rumori inesorabili che suona l’orchestra delle persone che ci respirano accanto.
Bisogna non raccontare e non chiedere, non ascoltare parole in bilico. Stare in silenzio, e provare a dialogare muti con le nostre emozioni.


Il silenzio non è una parentesi apatica, non è una forma di non-comunicazione, non significa rifuggire il confronto per immergersi in uno stato di quiete indolente.

Il silenzio nasce da una tensione fortissima, piena di sensazioni dentro, densa di parole senza suono. Da un vortice emotivo in cui i rumori e i richiami che arrivano dall’esterno si mescolano fino ad annullarsi, e compongono una sinfonia di immagini prive di audio, educata colonna sonora per l’entrata in scena della voce di un’anima che ha bisogno di farsi compagnia.

Il silenzio “ha il volto delle cose che hai perduto” (come cantava Mina tanti anni fa), ha il sapore acre delle occasioni che non ritornano, ma è altrettanto colmo di riflessioni necessarie, di dubbi da sviscerare, di opportunità da osservare e di nuovi sogni da cavalcare.

Nel romanzo “Leviatano”, Paul Auster scrive: “Per me la più piccola parola è circondata da acri ed acri di silenzio, e perfino quando riesco a fissare quella parola sulla pagina mi sembra della stessa natura di un miraggio, un granello di dubbio che scintilla nella sabbia”.

Il tempo delle parole ritornerà.

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