Nord-Est – Italia, 20 Maggio 2016
Poche parole. Sostanziali, garbate, sottovoce.
Un disegno essenziale, delicato e al tempo stesso audace, capace di scomporre lo spazio in frammenti che valgono.
Una spruzzata di sana follia a rendere vive le linee pulite che attraversano la scena.
Un abbraccio improvviso, che nasce da un istante saturo di voglia e arriva a riscaldare l’armonia cromatica dell’insieme.
Qualche sorriso spontaneo e gratuito, che sboccia come un regalo di primavera al centro della tela.
Occhi negli occhi mentre parliamo, per leggere meglio le profondità, dove danzano le cose che contano.
Un cocktail fatto di desideri scritti ed emozioni sincere, quelle che ubriacano di gioia.
Eccola qui la ricetta. La mia strada.
Dopo aver attraversato un lungo periodo denso di esperienze variopinte (alcune segnate da forti chiaroscuri che, potendo scegliere, avrei evitato volentieri), dopo numerose sperimentazioni materiche e sostanziali, che si sono tradotte in percorsi complessi dentro l’anima, in mezzo alle folle e fra le setole di pennelli vibranti di energia, sto tracciando la rotta per il mio prossimo viaggio.
Ci penso già da un po’ e ne ho anche discusso con alcune persone amiche che potevano capire e condividere le tensioni emotive che si stanno stiracchiando dentro di me. La chiave è questa: più passa il tempo e più mi accorgo di aver bisogno di essenzialità.
Nello studio dei miei nuovi soggetti pittorici sto lavorando da un po’ per imparare meglio a sintetizzare. Ultimamente sempre di più avverto l’urgenza di concentrarmi sull’eliminazione del superfluo per focalizzarmi sulla ricerca del senso, della poesia più pura e del calore più vivo.
Nella pittura, così come nella vita.
“Ho la mania della brevità. Qualsiasi cosa legga – le mie opere o quelle degli altri – mi sembra che niente sia abbastanza breve” scriveva Anton Čechov, noto per lo stile piuttosto asciutto e stringato dei suoi racconti e dei suoi drammi. Nonostante non abbia mai amato particolarmente la letteratura o la drammaturgia russa (sempre per la solita vecchia questione del Sud che calamita ogni mia pulsione), qualche opera di Čechov è riuscita a catturarmi, testa e sensi, e comunque questo suo elogio della sintesi mi trova senz’altro d’accordo.
D’altronde, a ripensarci, ho sempre amato anche i poeti ermetici, capaci di far ballare insieme poche semplici parole per raccontare con un’ideale dose di complessità il nocciolo delle questioni. Essenzialità (magari un po’più gioiosa e meno decadente), concentrazione e purezza, proprio quello che cerco io di questi tempi.
Ho percepito in modo palpabile e a tratti brutale il valore della sintesi, ho capito che la mia anima colorata ha voglia di nuotare in un mare di laconica efficacia, accarezzando leggera solo le cose che contano, imperturbabile di fronte a dettagli secondari. Non sarà facile avviare a pieno ritmo il processo di sottrAZIONE, perché in qualche caso alcune sfumature apparentemente superflue sono in grado di regalare al disegno finale pennellate di vita che ne aumentano il senso, ma io ci voglio provare, perché ci credo davvero.
E’ una bella sfida, che fa capolino fra le virgole di pensieri spettinati e un forte desiderio di completezza, ma a me le sfide piacciono. Soprattutto da quando ho capito che sono capace di vincerle.
Se rinasco, vorrei essere un puntino in un quadro di Mirò. Piccolo, docile, con i contorni morbidi. Ma con dentro tutto.