Aviano, 26 Luglio 2016
Tutte le cose finiscono, alcune prima e altre poi.
Finiscono quelle belle e finiscono anche quelle brutte. Per fortuna.
Finisce la scuola, quella fatta di banchi e compagni, di libri e ricreazioni e di maestri che a volte insegnano metodi, nozioni ed emozioni, altre volte meno. E poi di solito ne iniziano tante altre di scuole, palestre della vita dove le nuove situazioni, i limiti e le aspirazioni si imparano a forza di sbucciature su una pelle più dura.
Finiscono le vacanze, e subito al rientro si comincia a pianificare la prossima evasione, incorniciata da un mare che ogni volta desideriamo un po’ più placido, ma sempre blu.
Finiscono i viaggi, nell’anima e nel mondo, e le immagini colorate delle esperienze di cui abbiamo goduto continuano per tanto tempo a tracciare sentieri che si diramano tutti intorno al nostro cuore, stringendolo in una carezza ingorda che a volte lo opprime.
Finiscono anche i grandi amori, e a volte le amicizie importanti, e di solito subito dopo si cade nell’ammaliante rete dell’anoressia, o a volte bulimia, affettiva, rifugio per le anime che non sono ancora pronte a credere ai nuovi inizi. E così pezzi di sé (strutturali, mica briciole) se ne vanno per sempre, trascinati dalla scia di una barca che ogni istante vivo, il calore e i ricordi di quelle relazioni li porta lontano, al largo, in mare aperto. E alla fine ci troviamo a chiederci com’è accaduto, come abbiamo fatto a perderci.
Per fortuna, finiscono anche le battaglie, i periodi tristi, le malinconie, le distanze e le sconfitte. A poco a poco perdono profondità, sbiadiscono, fino a quando arriva (arriverà, lo so) un momento in cui quasi non si riconosce nemmeno più la ferita che faceva tanto male, né si ricorda l’intensità di quel dolore.
Un anno fa, proprio in questo periodo, vivevo sospesa, in bilico, persa col cuore e la mente in una camera oscura che mi costringeva tra due parentesi, e contavo in modo quasi maniacale i giorni che mi separavano dall’apertura di quella gabbia, che mi avrebbe consentito di uscire allo scoperto, alla ricerca dei miei colori.
Quel momento è passato, finalmente. Mi sono liberata di quelle catene e ho riconquistato l’aria aperta, ho respirato idee nuove e riscoperto buoni sentimenti, e ho alzato gli occhi al cielo. Era di nuovo immenso, e azzurro come piace a me.
Oggi è un giorno da festeggiare. Ogni fessura di quella parentesi si è finalmente rimarginata. Guardo, contenta, i titoli di coda dell’ultima puntata, che scorrono veloci davanti al mio sguardo cauto ma fiero.
Oggi, finalmente, sono uscita dai corridoi di questo ospedale senza aver fissato il prossimo appuntamento, e con lui gli esami, le visite, le attese e l’infusione di veleni buoni. Ci ritornerò, per tutti i controlli che mi serviranno, ma non in questa ala, dove mentre i mesi scorrevano troppo lentamente ho avuto la fortuna di conoscere tanti angeli, con cui scambiare pensieri e sorrisi mentre ce ne stavamo in trincea, col caschetto in testa per proteggerci dalle paure.
Solo qualche ulteriore punto di sutura a suggellare il passaggio del vento oltre la linea dell’orizzonte che conosco. Una cicatrice nuova di zecca, per ricordarmi chi sono oggi, e stop.
Chiusa la parentesi. Olè.
“Solo alla fine della conoscenza di tutte le cose, l’uomo avrà conosciuto sé stesso. Le cose infatti sono soltanto i limiti dell’uomo”.
(Friedrich Nietzsche)