Milano, 6 Febbraio 2017
Per me la fine dell’inverno è sempre tempo di bilanci, perché il mio anno nuovo inizia sempre in primavera.
Sono nata in primavera e in primavera, ogni anno, provo a rinascere una volta in più. E allora sperimento un nuovo colore, mi abbandono a un tocco più morbido, assaggio un raggio di luce che non avevo notato prima, chissà perché.
Manca ancora più di qualche settimana alla primavera, a dire il vero, ma fa un po’ meno freddo, le giornate si stanno allungando e i tramonti iniziano ad accogliere in quel blu che apre la strada alla notte pennellate di un rosa vivace che fa sorridere i cuori.
E così accade che ti lasci rapire dalle striature nel cielo e ti perdi un po’, immaginando nuove storie da vivere e da raccontare. Quella densità letargica che d’inverno annebbia un po’ i tuoi movimenti inizia a sfumare, per regalare spazio e voglie alla danza briosa di nuovi pensieri.
E poi succede che, mentre prepari la valigia dei sogni da portarti in giro nelle nuove esplorazioni, ti ritrovi a riflettere sui chiaroscuri, sui sorrisi e sulle battaglie, sugli incontri e sulle assenze.
E allora pensi a tutti i treni, gli aerei e i traghetti che hai preso, e rivivi i pensieri che affollavano quei viaggi, mentre le colline levigate dai toni morbidi dell’autunno, le pianure imbiancate d’inverno e le immense distese azzurre di mare ti scorrevano davanti agli occhi, fra gli echi smaniosi della tua immaginazione. E pensi anche ai treni e ai voli e alle navi che hai perso, perché non eri pronta a partire, perché non era quella la tua direzione, perché ti mancava l’adesione a quel progetto, o forse non c’era un progetto, o perché ti sei distratta un attimo e le porte si sono chiuse.
Ripensi alle andate, con le risate nel cuore, e ai ritorni, appagati e malinconici. E poi alle andate senza ritorni, coraggiose e inquiete, e ai ritorni senza un’altra andata, intrepidi, duri, caparbi. A quando sei andata via per non rimanere, e a quando sei rimasta perché non avevi l’energia per andare.
E pensi ai venti favorevoli, che ti trasportavano la fantasia oltre la soglia di ogni arcobaleno conosciuto, e a quelli contrari, con l’aria fredda che ti tagliava la pelle del viso e ti obbligava a fermarti. Pensi a quando sei cambiata senza volerlo, a quando invece l’hai voluto, e a quando avresti voluto cambiare ma non ci sei riuscita.
Ripensi anche, con un soffio di leggera indolenza, alle persone con cui pensavi avresti condiviso tanto, di più, con cui ti eri illusa che avresti conosciuto la vecchiaia, brindando ogni volta a nuovi traguardi, e invece no. E a quelli che ci sono ancora, in ascolto e in contatto, a volte vicini altre lontani, ognuno in fondo un po’ perso dentro ai fatti suoi, ma sempre pronto a riempirti un abbraccio di quello che ti serve.
E poi succede che pensi a quello che sognavi di fare e a quello che fai, e tracci un segno con la matita blu sul muro della tua stanza per visualizzare meglio a che punto sei arrivata, come quando da piccola ti facevano appoggiare alla parete per misurarti i centimetri che ti stavano crescendo addosso. E ti chiedi cosa vuoi di più, e cosa invece non vuoi, cosa non vuoi più.
Pensi ai tuoi lavori, ai tuoi colori e ai tuoi amori, a quelli che dovevano durare per sempre e poi sono ingrigiti, e a quelli che non possono finire mai.
Pensi a quello che un giorno è iniziato e aveva una tenuta forte, a prova di uragano, eppure poi un altro giorno è cambiato perché le vite scorrono sempre voraci e quello che avevi immaginato lavorando al primo tratteggio sì è dissolto nel mare alcalino dei disincanti, delle consapevolezze e delle nuove scoperte.
Ritrovi anche, fra le righe dei tuoi appunti su fondo blu, il profilo di quella bambina che un giorno avevi immaginato di avere, che volevi chiamare Bianca, perché il bianco è eleganza, è luce, è più puro della verità, anche se poi tanto l’avresti vestita di azzurro. Ma invece no.
E pensi con un velo soffice di nostalgia a quell’isola che sprofondava nel calore, fluttuante in quel blu così intenso, con i fichi d’india che pungevano le dita e graffiavano le idee, e ti fai tante di quelle domande a un certo punto, senza forse voler davvero conoscere le risposte.
Pensi alle occasioni di festa e ai momenti di solitudine, pensi ai respiri e a tutti i momenti che ti hanno tolto il respiro, ai viaggi dei corpi e dei cuori e ai passi immobili che qualche volta ti sono serviti, o erano necessari per ripartire.
E allora decidi di mettere da parte i ricordi più sbiaditi e ti concentri su quelli ancora vividi, che fai risuonare ancora di più con un paio di mani di vernice brillante, perchè ne hai bisogno ancora.
E così ti ritrovi a sorridere a ogni giorno, e sai che nessuno deve passare invano, sai che ogni giorno devi riempirlo del senso che ormai hai capito qual è, e sai che ogni giorno ti servirà per arrivare, consapevole e leggera, a domani. Perché domani è primavera…
“Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare a come si è vissuto”.
(Paul Bourget)