Milano, 30 ottobre 2014
Esserci. Entrare a piedi nudi in una sceneggiatura, viverla seguendo il ritmo intenso dei movimenti dell’anima, rincorrendo l’armonia delle contraddizioni. Restare, goderne, e poi partire di nuovo, nel flusso di un’energia composta da linee fluide che danzano.
Perché “la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia”… come canta Vasco in Sally, una di quelle canzoni che sembrano scritte apposta per te, per raccontare la tua storia, un po’ come le 11 righe di Traindogs.
Mi ha sempre affascinato l’Action Painting, uno stile diffuso negli Stati Uniti tra gli anni 40 e 60 del secolo scorso che voleva enfatizzare l’atto fisico della pittura, invitando lo spettatore a intraprendere un viaggio a colori all’interno della tela per sentire da vicino quella dirompente tensione emotiva in procinto di esplodere.
Molti critici dell’epoca si lanciarono in invettive piuttosto sprezzanti nei confronti dell’opera di Jackson Pollock, definendola espressione del caos, risultato spontaneo di azioni più o meno casuali e disorganizzate, simili a esplosioni di energia incontrollata e prive di contenuto.
Pollock replicò che, grazie alla sua esperienza, era perfettamente in grado di tenere sotto controllo il flusso di colori, attraverso un lavoro ordinato, capace di catturare in maniera armonica i ricordi compressi nella memoria corporea rendendone visibili energia e movimento:
“Quando sono ‘nel’ mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una sorta di fase del ‘familiarizzare’ che vedo ciò a cui mi dedicavo. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l’immagine…, perché il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un disastro. Altrimenti c’è pura armonia, un semplice dare e prendere, e il dipinto viene fuori bene”.
Ricordo quella mattina a New York, qualche anno fa, in cui avevamo programmato di andare a visitare il MoMA. Mi ero svegliata con un grande sorriso, emozionata come una bambina davanti alla cancellata di ingresso del Paese dei balocchi. Immergermi in quel mondo così denso di storie, sperimentazioni, colori vivi che irrompono nel cuore, era un grande regalo per me, un’altra di quelle occasioni da assaporare con lentezza, e gioia. Ricordo di aver pensato che avrei voluto piantare una tenda permanente nel foyer del museo, per vivere lì, nutrendomi solo di bellezza.
In genere bevo decisamente meno degli “Irascibili” (i compagni di Pollock, appartenenti al movimento pittorico denominato Espressionismo Astratto, o appunto Action Painting) ma, nonostante la mia sobrietà di base, ogni tanto qualche idea bizzarra si fa strada tra i miei pensieri, facendo volare la mia immaginazione fra nuvole incantate dove tutto si può fare.
In questo periodo sto vivendo una nuova fase sperimentale della mia vita che mi fa affrontare, come dall’alto di un tacco 12 senza plateau, sensazioni inedite, in bilico fra qui e l’altrove. E allora, ho deciso di provare a immergermi in una tela e a sprigionare attraverso la tecnica del drip painting una sequenza di sentimenti finora in parte latenti. Funziona davvero. Per un po’ ci si sente liberi.
Questa nuova serie, in fieri al momento, si intitola Zibaldone, a sottolineare la molteplicità dei pensieri in divenire e dei punti energetici di concentrazione e di fuga che mi hanno ispirata.
Esserci del tutto, intensamente, con la volontà, con l’immaginazione e con tutta la passione che merita l’esserci. E poi, una manciata di istanti dopo, non esserci più. Uscire da quella tela, da quella sceneggiatura, e andare altrove, oppure da nessuna parte. Anche questa è una scelta.