Milano, 17 Giugno 2017
Si narra che la diversità sia una fonte inequivocabile di ricchezza.
Non posso fare a meno di immaginarmela come una particella fatata che nuota felice fra le gocce di un collirio magico multicolor, obbligando occhi demotivati ad aprirsi su un mondo sconosciuto, uno scintillante paese dei balocchi con premi e sorprese a ogni angolo.
In effetti c’è sempre molto da cogliere e da imparare dagli incontri con persone nuove e diverse da noi, anime sconosciute con cui spesso, soprattutto all’inizio, ci auguriamo di intraprendere un pezzo di strada insieme, per poterci conoscere a vicenda, scoprire, sorprendere magari, nei casi più fortunati anche intrecciarci un po’.
Gli ingredienti che più ci affascinano dei nuovi incontri sono le calde energie estive da assorbire, idee e storie avvincenti da ascoltare e a volte anche approcci emotivi inediti e seducenti, da far propri per rinfrescare quella vitalità che, complici la stanchezza o il caldo o le dinamiche della frenesia cittadina, a volte ha le pile scariche.
Ogni bell’incontro (dico bello, perché poi ci sono anche quelli brutti, o inutili, o entrambe le cose) è una nuova tela da colorare insieme senza paura di sporcarsi, pennelli alla mano e sguardo vivo.
Però… eh già, c’è un però. Siamo proprio sicuri che la diversità sia sempre una ricchezza e non invece, qualche volta almeno, una fatica che in confronto Ercole era un pivellino?
Ahi ahi, ho proprio paura che a volte la diversità (di formazione, di estrazione culturale, di interessi e abitudini, di sensibilità artistica e soprattutto di sogni e di visioni) assuma le sembianze di un grande portone blindato e invalicabile, impossibilitato per innumerevoli ragioni ad aprirsi per far scorrere attraverso quella soglia capricciosa qualunque forma di comunicazione e condivisione sana, gioiosa e appagante.
“Questione di feeling”, cantavano quei due tipi lì. Chiaro, il primo passo è proprio la chimica, o l’affinità, la sintonia a pelle, che c’è oppure semplicemente non c’è.
Poi, però, interviene un altro elemento imprescindibile, che è la comunanza di sogni, aspirazioni, volontà, quell’intreccio di fili colorati di un rosa morbido e intenso che ci porta a desiderare le stesse cose, con gli stessi ritmi, con lo stesso background emozionale dietro le spalle.
Il fatto è che questa comunanza, che mi verrebbe da chiamare progettualità comune nel costruire una relazione (e parlo di amicizia, in primis, ma anche d’amore o di altri tipi di rapporti), mica si coglie sotto i cavoli come i bambini nelle favole…
Se lo stile di vita che abbiamo scelto non ci avvicina, se le emozioni che viviamo filano veloci lungo binari paralleli destinati a non incontrarsi mai, se la facilità di vivere l’incontro viene costantemente soppiantata dalla voglia di contradditorio a tutti i costi, da attriti continui (che generano calore certo, alimentano il dialogo magari ma, per dirla tutta, stracciano anche un po’ i maroni togliendoci la serenità e la voglia di impegnare altre energie) e da estenuanti camminate a piedi nudi al limitare del burrone dell’incertezza… siamo proprio ancora sicuri che la diversità sia ricchezza? Mah…
Io con le persone che entrano in contatto con me ho voglia di condividere le sensazioni più vere, la leggerezza dei giorni d’estate, a volte le stanchezze, sempre la bellezza, mia stella guida, e quando serve anche i silenzi che mi proteggono dal brusio della vita che scorre.
Ma soprattutto cerco la semplicità della condivisione, la spontaneità con cui si festeggia l’essersi ritrovati, senza dover per forza mettere in discussione la sinuosità e il ritmo di ogni virgola che punteggia la mappa che abbiamo tentato di disegnare insieme.
Le piccole discrepanze danno origine alle ipotesi più fantasiose e stimolanti, il trucco è accettarle e coglierne il senso, cercandoci dentro il senso di sé. Ma se il tentativo di avvicinamento ci toglie l’energia necessaria per mettere in moto quelle decine di muscoli che ci regalano il sorriso, beh forse è meglio desistere e iniziare a occuparsi di qualcosa più adatto a noi.
Rifletto da un po’ su questi temi, osservando le vite degli altri e rimettendo a posto qualche pezzo della mia. E mi è sempre più chiaro che alle persone che incontro voglio affidare il compito di farmi stare bene, meglio di quanto starei senza di loro, di aggiungere un pizzico di brio alla ricetta della mia vita, già variopinta, di regalare qualche pennellata satura di un colore che mi piace alla mia tavolozza già ricca di allegria.
A volte capita, capita a tutti, di subire il fascino di persone che sulla carta presentano tutte le caratteristiche che pensavamo di desiderare in un incontro, ma poi, nella pratica, riescono a trascinarsi dietro una vagonata di problematiche e psicopaturnie che non ci appartengono affatto e ci catapultano nell’immediato in una palude di disagio che non meritiamo.
La soluzione, in questi casi, è scappare a gambe levate, subito.
Perché io sul podio ci voglio mettere il sorriso, l’ottimismo sano e gli occhi che brillano, un bicchiere di vino e una risata che riempie il cuore. Non ci rinuncio. Sono diversa.
“Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi” (Giuseppe Pontiggia)